5.59: la radiosveglia fa partire la musicassetta di Vasco. Ieri sera, certo, il torneo di scopone è finito tardissimo, ma si sa, “Dop avé dbù ignún vô dí la sù” [Dopo aver bevuto ognuno vuol dire la sua] e il segretario dello SPI è quasi venuto alle mani con il coordinatore del circolo locale dell’ANPI.
6.32: intingendo i Colussi nel caffellatte, inizia la giornata con la rassegna stampa di Chiara Geloni su Tgcom 24.
7.01: indossa l’abito di ordinanza: giacca, camicia e cravatta secondo i dettami dello stilista di riferimento Alfredo D’Attorre. Ovviamente il colore di tendenza è il nero. In estate è concessa comunque una maglia della salute, rigorosamente bianca, sul modello Vasco Errani. “Siam mica qui a contare i colori di Arlecchino?” ridacchia vestendosi.
7.21: accende il toscano d’ordinanza ed esce per andare a lavoro a bordo della sua Fiat Panda a gas, canticchiando. In auto ha la discografia completa di Guccini, il best of di Vasco Rossi, un album di Emma (nascosto nel cruscotto fra le pagine di “Highlander. Storie, cimeli e ideali della prima repubblica” della Geloni) e un cd con sopra la scritta “Lo smacchiamo, lo smacchiamo. I successi del PD”.
7.35: lungo il tragitto lascia il fratellino piccolo davanti a scuola. Il bambino, in ampio anticipo, si chiede perché mai dovrà aspettare al gelo per circa mezz’ora che aprano le porte dell’istituto. Il giovane bersaniano lo incita a non andare di fretta, ad essere un sincero riformista e lo saluta e ripetendogli di mostrare disciplina come lui in quei giorni bugiardi: “Siam mica qui a cantare le note sul registro della maestra!”.
7.45: arriva in anticipo al lavoro, allora va in edicola e come tutte le mattine chiede l’Unità ma alla fine si ritrova sempre con una copia di Repubblica, una de L’Espresso e un volume sulla vita di De Benedetti. Europa lo compra in un’edicola più lontana. Bisogna voler bene alla ditta.
8.04: al lavoro, spegne l’iPhone, mette in modalità silenziosa il suo Nokia 3310 – dove riceve le chiamate importanti – e si dirige alla scrivania del suo ufficio, dove c’è il saggio di Di Traglia: “Io e la comunicazione, due rette parallele”.
10.00: il bersaniano lavora diligentemente, la sua unica distrazione è la lettura del giornale. Termina tutte le pratiche e anche quelle del collega renziano che nel frattempo ha passato la mattinata a retwittare la Picierno. Con aria bonaria accenna un piccolo rimpovero dicendogli: “è meglio un uovo in padella la sera che un uccello sullo smartphone al mattino”.
10.15: il bersaniano, mentre cerca sul sito de l’Unità l’ultimo breve scritto di Gotor su “Democrazia e corpi intermedi: è giusto esonerare l’allenatore a metà stagione?”, si imbatte su Facebook nella foto di una ragazza grillina di cui per un periodo, brevissimo, è stato innamorato. Nessuno ha mai capito perché. Le scrisse addirittura una lettera nella quale, in otto punti, le raccontava come e perché sarebbero potuti essere felici assieme. Lei gli rispose in diretta streaming: “Vaffanculo”.
10.30 alla meritata pausa, prova a parlare col collega della proposta di Renzi appena letta sul giornale, spiegandogli che nel 1789… ma il collega renziano gli spiega che è stata già superata dalla “reply” di Faraone alla Geloni e che Renzi ha retweettato. Per consolarsi, condivide Fassina su Fb.
11.30: il bersaniano sgobba duramente, tanto che fa anche il lavoro dei colleghi che escono dall’ufficio, ma il capo non l’ha mai premiato, ogni tanto ci rimugina, ma poi ritorna a lavorare per il bene della ditta. Forse dovrebbe anche lui parlare un po’ male del capo e della ditta per essere notato e premiato. E allora decide che in segno di ribellione l’indomani non indosserà la cravatta e lascerà le stringhe della scarpa destra slacciate, ma solo per un paio d’ore. “Siam mica qui a stirare il frac ai pinguini” rimugina tra sé e sé.
Continua a leggere →